di Robert K.G. Temple
Il Mistero di Sirio

INTRODUZIONE

Qual è il mistero?

 

La domanda che questo libro si pone è: la Terra è stata visitata in passato da esseri intelligenti che provenivano dal sistema della stella Sirio?

Quando ho cominciato a scrivere questo libro, nel 1967, tale questione si era posta a causa di una tribù africana, la tribù dei Dogon, che vive nel Mali e che si era scoperto allora possedere un’informazione riguardante il sistema della stella Sirio. Tale informazione era così incredibile che fui spinto a ricercarne le fonti. I risultati a cui sono giunto nel 1974, sette anni più tardi, dimostrano che l’informazione di cui i Dogon sono in possesso è antica più di cinquemila anni ed era conosciuta dagli antichi Egizi nei periodi predinastici precedenti al 3200 a.C., dai quali Egizi i Dogon discendono in parte dal punto di vista culturale e probabilmente anche dal punto di vista fisico, come dimostrerò più avanti.

Perciò non ho fatto altro che far risalire nel tempo di oltre cinquemila anni i termini di riferimento della questione originale, cosicché essa diviene ora più allettante che mai. Ma, dopo una simile trasposizione, la risposta diventa meno facile. I Dogon conservano una tradizione di quello che sembra essere stato un contatto extraterrestre, ma preferirei non dover formulare l’assurda ipotesi che esseri intelligenti provenienti dallo spazio esterno siano atterrati in Africa, abbiano fornito un’informazione specifica a una tribù dell’Africa occidentale per ritornare poi nello spazio e trascurare il resto del mondo. Una simile teoria non mi è mai sembrata realmente possibile, anche se all’inizio poteva servire come ipotesi di lavoro. Dopotutto, non avevo idea che i Dogon potessero aver mantenuti vivi nella loro cultura i misteri religiosi dell’antico Egitto. Non immaginavo neanche che gli Egizi sapessero qualcosa a proposito di Sirio. Mi trovavo in quello stato d’ignoranza tanto comune tra le persone che, dell’antico Egitto, sanno soltanto che gli Egizi hanno costruito le piramidi, ci hanno lasciato alcune mummie, hanno avuto un Faraone chiamato Tutankhamon e che la loro scrittura era geroglifica. Le mie nozioni accademiche riguardavano le civiltà orientali, ma non mi ero mai occupato dell’Egitto tranne per quanto concerneva il periodo islamico dopo il 600 d.C. e non sapevo quasi nulla dell’Egitto antico. Se fosse stato diversamente, forse mi sarei risparmiato una bella perdita di tempo.

Ci vollero molti mesi prima che due o tre trascurabili indizi si facessero strada nella mia testa quel tanto da indurmi a studiare l’antico Egitto e un intero campo di argomenti che non avevo mai affrontato in precedenza. Ma, anche così, non sono sicuro se mi sarei lasciato convincere a spendere considerevoli somme di denaro come le cinquanta sterline necessarie per acquistare il Dizionario dei geroglifici egizi di Wallis Budge, un’opera essenziale e non più in commercio, che comprende 1356 pagine e che un ragazzo di dieci anni non riesce a sollevare dal tavolo. Ma, quasi per un intervento del fato, uno di questi enormi dizionari mi fu regalato e con esso molti altri libri d’importanza fondamentale per lo studio degli argomenti di cui mi sarei più tardi interessato. Questo fatto mi aiutò a superare la mia naturale riluttanza a impiantare un lettino da campo in qualche biblioteca scolastica e a trasferirmici per un paio d’anni. Devo perciò riconoscere il mio debito verso una mia cara amica, la defunta Miss Mary Brenda Hotham-Francklyn, per avermi regalato, nel novantaquattresimo anno della sua vita, ciò che equivaleva a una discreta biblioteca, i cui volumierano tanto interessanti che mi riuscì impossibile trascurarli, ed ecco qui davanti a voi il risultato.

La questione del mistero di Sirio attirò per la prima volta la mia attenzione verso il 1965. Stavo lavorando ad alcuni problemi filosofici e scientifici insieme con Arthur M. Young di Philadelphia, l’inventore dell’elicottero Bell e, più recentemente (1972), uno dei curatori e autori del libro Consciousness and Reality. Arthur da solo mi insegnò più nozioni scientifiche, che vennero ad integrare i miei studi universitari ufficiali, nell’arco di tempo “che va dal 1961 al 1967, di quanto avrebbe potuto fare un’intera facoltà universitaria. Infatti, mentre procedevo faticosamente nello studio del sanscrito e di altri pesanti argomenti, assimilai una notevole educazione scientifica da Arthur, insieme con alcuni amici della facoltà con cui partecipai per anni a una serie di seminari straordinariamente stimolanti e a progetti di ricerca sotto la supervisione di Arthur Young, oltre a legarmi momentaneamente a una fondazione filantropica che egli aveva fondato, chiamata la Fondazione per lo studio della coscienza.

Arthur Young coltivava una particolare passione per le mitologie di tutto il mondo, incluse quelle di oscure tribù. Un giorno mi mostrò un libro intitolato African Worlds, diviso in numerosi capitoli, ognuno dei quali si occupava di una diversa tribù, considerandone il modo di vivere, i costumi e la mitologia. C’era anche un capitolo sui Dogon, tradotto dal testo francese di Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, due eminenti antropologi.[1]

Arthur mi fece notare un brano di un capitolo che aveva appena letto, nel quale gli antropologi descrivevano le teorie cosmologiche dei Dogon. Voglio citare quel paragrafo che lessi allora e che per la prima volta attirò la mia attenzione su questa straordinaria questione, in modo che il lettore entri in argomento proprio come feci io, grazie a questa breve indicazione:

«Il punto d’inizio della creazione è la stella che compie la sua rivoluzione attorno a Sirio e che viene chiamata “stella Digitaria“; viene considerata dai Dogon come la più piccola e la più pesante di tutte le stelle; contiene il germe di ogni cosa. Il suo movimento sul proprio asse e attorno a Sirio determina qualsiasi creazione nello spazio. Vedremo come la sua orbita influenzi il calendario».

Era tutto qui. Gli antropologi non facevano menzione della reale esistenza di una simile stella che giri attorno a Sirio. Ora, sia Arthur Young sia io eravamo al corrente dell’esistenza della stella nana bianca chiamata Sirio B che gira effettivamente in orbita attorno a Sirio. Sapevamo che era il tipo di stella «più piccola e più pesante» che si conoscesse fino a quel momento (i «buchi neri» erano una novità di cui si parlava poco; quanto ai pulsar, non erano ancora stati scoperti). Naturalmente ci trovammo entrambi d’accordo sul fatto che questa era un’osservazione estremamente strana da parte di una tribù che si presumeva ancora a uno stadio primitivo. Come poteva spiegarsi? Dovetti lasciar cadere la questione, perché invischiato in quel periodo in altre attività e altri problemi.

Circa due anni più tardi, mentre mi trovavo a Londra, fui colto all’improvviso da un desiderio irresistibile di fare ricerche su quell’argomento. Fui indotto a ciò dopo aver letto gli stimolanti saggi proiettati nel futuro di Arthur C. Clarke, che avevo conosciuto qualche tempo prima. Ormai non riuscivo più neanche a ricordare il nome della tribù africana, perciò scrissi ad Arthur Young per rinfrescarmi la memoria. Egli mi rispose inviandomi gentilmente una fotocopia dell’intero capitolo che avevo visto in African Worlds. Così, dopo aver appurato che la tribù che cercavo era quella dei Dogon, mi recai coraggiosamente al Royal Anthropological Institute per vedere cosa avrei potuto trovare su questa strana tribù.

Il bibliotecario mi aiutò a cercare nel catalogo e io mi imbattei in un primo problema: tutto ciò che avrebbe potuto servirmi era scritto in francese, lingua che non conoscevo. Però perseverai nella mia ricerca e trovai finalmente l’indicazione di un articolo che nel titolo portava la parola «Sirio». Sembrava promettente (anche perché non c’era altro). Ne chiesi una fotocopia. Naturalmente, quando una settimana o due più tardi (ai primi di novembre del 1967) ricevetti la fotocopia, ero incapace di comprenderne il contenuto, ma alla fine trovai qualcuno disposto a tradurmelo dietro compenso. Quando ricevetti il materiale in inglese, vi trovai la ricompensa che avevo sperato.[2] Infatti questo articolo si occupava esclusivamente della più segreta di tutte le tradizioni dei Dogon che, dopo aver vissuto per anni in quella tribù, gli antropologi Griaule e Dieterlen erano riusciti a farsi rivelare da quattro dei loro massimi sacerdoti,[3] dopo una particolare riunione religiosa cui aveva partecipato tutta la tribù e dopo la «decisione politica» di rivelare i loro segreti a Marcel Griaule, il primo estraneo che in tutta la lora storia sia riuscito ad accattivarsi la loro fiducia.

Le tradizioni più segrete dei Dogon si incentrano tutte attorno alla stella che viene chiamata con il nome del seme più piccolo che essi conoscano, la cui denominazione botanica è Digitaria; questo è appunto il nome usato nell’articolo per indicare la stella, anche se il nome vero con cui i Dogon indicano la stella è po. Però, anche in quest’articolo che pure tratta esclusivamente tale argomento, Griaule e Dieterlen fanno solo un breve accenno alla reale esistenza di una stella che si comporta esattamente come affermano i Dogon, in una nota a pie’ di pagina e sbrigativamente: «Non si è trovata risposta alla domanda, anzi non è stata neppure cercata, di come possa essere possibile che uomini sprovvisti di strumenti scientifici conoscessero i movimenti ed alcune caratteristiche di stelle che sono a malapena visibili». Ma, così dicendo, i due antropologi rivelavano la loro mancanza di nozioni astronomiche, perché la stella Sirio B che gira attorno a Sirio non è affatto «a malapena visibile»: è totalmente invisibile a occhio nudo ed è stata scoperta soltanto il secolo scorso grazie all’uso del telescopio. Come Arthur Clarke mi ha scritto in una lettera del 17 luglio 1968, dopo aver deciso di controllare i fatti: «Comunque, Sirio B ha una grandezza (mgnitudo – ndr) di circa 8… quasi invisibile anche se Sirio A non la cancella completamente». Soltanto nel 1970 Irving Lindenblad, della U.S. Naval Observatory, è riuscito a scattare una fotografia di Sirio B.

Sirio A e B - foto Hubble

Fig.1 – Sirio A e Sirio B.
Sirio B è il puntino di luce in basso a sinistra rispetto alla stella principale.
Questa immagine del Telescopio Spaziale Hubble mostra Sirio A, la stella più luminosa del nostro cielo notturno, con il suo piccolo compagno, Sirio B. Gli astronomi hanno sovraesposto l’immagine di Sirio A, al centro, in modo che la fioca Sirio B, minuscolo puntino in basso a sinistra, potesse essere visto.La diffrazione a forma di punte-cross e gli anelli concentrici intorno a Sirio A e il piccolo anello intorno a Sirio B sono artefatti prodotti all’interno del sistema di imaging del telescopio. Le due stelle ruotano l’uno intorno all’altro ogni 50 anni. Sirio A, solo 8,6 anni luce dalla Terra, è la stella più vicina sistema quinta nota – ndr.

 

Nell’articolo che avevo trovato al Royal Anthropological Institute, Griaule e Dieterlen affermavano che, secondo i Dogon, la stella Digitaria compie una rivoluzione attorno a Sirio della durata di cinquanta anni. Non mi ci volle molto per scoprire, fatte le opportune ricerche su Sirio B, che il suo periodo orbitale attorno a Sirio era esattamente di cinquant’anni. Ormai ero certo di aver trovato qualcosa di importante e da quel momento mi sono gettato in pieno nella ricerca per giungere al nocciolo del mistero.

Nei mesi che seguirono Arthur C. Clarke mi fu di estremo aiuto. Mi scrisse da Celyon e venne a Londra, cosicché lui e io potemmo discutere a fondo molti dei misteriosi fatti avvenuti in tutto il mondo ai quali in seguito è stata data ampia pubblicità dallo scrittore svizzero-tedesco Erich von Däniken nel suo best-seller Chariots of the Gods e nei volumi seguenti. All’inizio pensai di scrivere un libro su questi eccitanti misteri (nessuno a quel tempo aveva ancora sentito parlare di von Däniken). Arthur Clarke mi presentò a molti interessanti studiosi, ognuno con il proprio mistero preferito. Derek Price, professore di storia della scienza alla Yale University, aveva scoperto la vera natura dell’ormai famoso calcolatore meccanico che risale all’incirca al 100 a.C. e che fu trovato nella nave naufragata al largo dell’isola di Citera ai primi del secolo senza che se ne capisse il valore finché non cadde al suolo, ad Atene, aprendosi e rivelando che cosa esattamente fosse. Aveva anche trovato tracce della matematica babilonese in Nuova Guinea e parlava molto del «naufragio Raffles».

C’era poi il dottor Alan McKay, un cristallografo del Birkbeck College all’università di Londra, che si interessava del disco Phaistos rinvenuto a Creta,in una misteriosa lega metallica trovata anche in una tomba cinese e nelle più selvagge zone del fiume Amu Darja. Mi resi conto che, con gente come questa che mi aspettava a ogni angolo di strada, mi stavo facendo rapidamente distrarre dalla mia vera ricerca da tanti abbaglianti indovinelli.

Abbandonai perciò tutti questi misteri e decisi di concentrare le mie forze per risolvere il solo enigma veramente ostico e concreto che mi si era presentato fin dall’inizio: come mai i Dogon sapevano cose tanto straordinarie, questo significava forse che la Terra era stata visitata da extraterrestri?

Il guaio, quando si cerca di iniziare una ricerca seria sulla possibilità di un contatto extraterrestre con la Terra, è che molte persone sensibili vengono sconcertate già da un’idea del genere. Invece, molti di coloro che accetterebbero a braccia aperte e pieni d’entusiasmo ricerche di questo tipo appartengono a quel tipo di gente a cui uno meno vorrebbe essere accomunato. Ho intrapreso perciò il lavoro su questo soggetto con una certa riluttanza e per diversi anni, quando qualcuno mi invitava a dire che cosa stavo facendo e riusciva a strapparmi la confessione che stavo lavorando a un libro, non ne rivelavo l’argomento ma mi limitavo a borbottare che riguardava «gli antichi Egizi» o, prima di essere giunto a questo stadio, «la mitologia di una tribù africana… niente di veramente interessante». Immagino che questo libro mi farà inevitabilmente rientrare in quella non certo invidiabile categoria di cui fanno parte «quelle persone che scrivono di omini verdi provenienti dallo spazio esterno». Però questa intende essere una ricerca seria. Sono tentato di scusarmi per l’argomento trattato, ma sarebbe un accorgimento inutile.

È importante che questo strano materiale venga sottoposto al maggior numero di lettori. Da quando la cultura è stata liberata dalla tirannia dei pochi e aperta al grande pubblico, dapprima attraverso la invenzione della stampa e ora con i moderni mezzi di comunicazione, la proliferazione di libri e periodici e, più recentemente, la «rivoluzione del libro economico tascabile», qualsiasi idea può diffondersi e gettare i suoi semi nelle menti di tutto il mondo senza la mediazione di un ristretto gruppo di censori o il filtro di un clima d’opinione basato sulle idee correntemente accettate di poche menti individuali antiquate.

Com’è difficile pensare che non è stato sempre così. Non c’è da meravigliarsi se, prima che ciò fosse possibile, si avevano tradizioni segrete trasmesse oralmente nell’ambito di una casta sacerdotale in una catena ininterrotta durata secoli e attentamente custodite per paura di qualche intervento censorio che provocasse la perdita del messaggio. Ai tempi nostri, per la prima volta tradizioni segrete possono essere rivelate senza correre il pericolo che si estinguano nel processo. è possibile che i Dogon si siano resi conto di qualcosa del genere se, in virtù di qualche possente istinto e dopo reciproche consultazioni tra i sacerdoti di più alto rango, hanno deciso di compiere un passo senza precedenti, quello cioè di rendere pubblici i loro più importanti misteri? Sapevano di potersi fidare degli antropologi francesi e quando Marcel Griaule morì, nel 1956, quasi duecentocinquantamila membri della tribù si riunirono per assistere ai suoi funerali, nel Mali; un eccezionale tributo a un uomo che essi riverivano come un grande saggio, come uno dei loro più alti sacerdoti. Un simile atto di riverenza indica che i Dogon avevano in quest’uomo straordinario un’assoluta fiducia. Non c’è dubbio che dobbiamo alle qualità personali di Marcel Griaule se le sacre tradizioni dei Dogon ci sono state svelate. Sono riuscito a far risalire queste tradizioni all’antico Egitto ed esse sembrano rivelare un contatto stabilitosi nel lontano passato tra il nostro pianeta Terra e una razza avanzata di esseri intelligenti venuti da un altro sistema planetario distante nello spazio molti anni-luce. Se c’è un’altra risposta al mistero di Sirio deve essere ancora più sorprendente: certamente non sarà mai banale.

Non dovrebbe stupirci la possibilità che ci siano altre civiltà nella nostra galassia e nell’intero universo. Anche se la spiegazione del mistero di Sirio risulterà essere, negli anni a venire, qualcosa di assolutamente diverso (sebbene non sia in grado di immaginare cosa), dovremmo tenere bene a mente che, poiché non siamo certamente soli nell’universo, il mistero di Sirio ci sarà servito per affrontare il problema lungo linee appropriate e necessarie e avrà aperto le nostre menti, per loro natura pigre, ad affrontare l’importante questione delle civiltà extraterrestri che devono certamente esistere.

Al momento siamo come pesci in un vaso e facciamo ogni tanto un salto fuori dell’acqua quando i nostri astronauti vengono lanciati nello spazio. Il pubblico comincia ad annoiarsi delle esplorazioni spaziali ancor prima che siano realmente incominciate. Troviamo anche che gli uomini del Congresso hanno bisogno di continue iniezioni di «salvataggi nello spazio» e «mancanza di satelliti» nelle loro stanche arterie, come una dose di eroina, per risvegliarli dal loro orribile stato letargico e indurli a concedere fondi per i programmi spaziali che tanti di loro considerano un noioso passatempo privo di eccitazione e suspense.

La reazione psicologica suscitata dalle fotografie della Terra scattate dallo spazio, un gigantesco e splendido globo che non appoggia su nulla, imperlato di nuvole e coperto di mari luccicanti, ha cominciato a farsi sentire nei lunghi e sonnolenti corridoi della nostra psiche drogata. L’umanità sta impercettibilmente lottando per arrivare alla nuova e innegabile percezione che in questo gioco siamo coinvolti tutti insieme. Siamo tutti appollaiati su una sfera sospesa in ciò che sembra essere il vuoto, siamo fatti di atomi che in sé sono per la maggior parte vuoti e, soprattutto, siamo i soli esseri realmente intelligenti che conosciamo cioè in forma diretta. In breve, siamo soli con noialtri, con tutte le conseguenze fratricide che questa situazione implica.

Ma nello stesso tempo, mentre ci stiamo lentamente rendendo conto di ciò, l’inevitabile conclusione che ne deriva comincia a farsi avanti in noi. Ormai sono più di un esiguo gruppo di individui eccezionali (eccezionalmente intelligenti o eccezionalmente pazzi) coloro che stanno cominciando a capire che, se ce ne stiamo seduti su questo pianeta a lottare tra noi per mancanza di una distrazione migliore, forse allora ci sono molti pianeti disseminati in tutto l’universo in cui esseri intelligenti o se ne stanno buoni a cuocere nel loro brodo come noi o hanno infranto il guscio e hanno stabilito un contatto con altri esseri intelligenti di altri pianeti. E se questo sta accadendo davvero in tutto l’universo, forse non paserà molto tempo e ci troveremo noi stessi in collegamento con i nostri compagni di chissà dove: creature viventi accanto a un’altra stella là nel vasto vuoto che genera pianeti, soli e menti.

Per anni ho pensato che quelle organizzazioni che spendono milioni di dollari per la «pace» e cercano di scoprire cosa vi sia di sbagliato nella natura umana da farla indulgere a una cosa così perversa come la guerra, dovrebbero essere piuttosto consigliate di devolvere tutti i loro capitali ai programmi spaziali e alla ricerca astronomica. Invece di organizzare seminari per «la ricerca della pace», dovremmo costruire più telescopi. La risposta alla domanda: «L’umanità è perversa?» sarebbe trovata una volta per tutte quando potessimo paragonarci ad altre specie intelligenti e valutare noi stessi in base a un criterio diverso da quello che noi ci siamo fabbricati dal nulla. Al momento stiamo lottando con le ombre, dando la caccia ai fantasmi… Le risposte si trovano là fuori, con le altre stelle e le altre razze di esseri. Possiamo soltanto regolare le nostre nevrosi diventando ancor più introspettivi e narcisistici. Dobbiamo invece guardare in avanti. Allo stesso tempo, naturalmente, dobbiamo volgere indietro lo sguardo e cercare nel nostro passato. Andare avanti senza sapere dove siamo stati nonha senso. C’è anche la possibilità di scoprire misteri sulle nostre stesse origini. Per esempio, uno dei risultati della mia ricerca, che è cominciata in modo inoffensivo con una tribù africana, è stato quello di dimostrare la possibilità che la civiltà quale noi la conosciamo sia stata importata agli inizi da una altra stella. Le culture tra loro collegate degli Egizi e dei Sumeri nel bacino del Mediterraneo sono semplicemente venute fuori dal nulla. Non intendo dire con questo che prima di allora non ci fossero persone vive. Sappiamo che la Terra era fittamente abitata, ma non abbiamo trovato tracce di civiltà. E popolazione e civiltà sono cose notevolmente diverse. Considerate per esempio questo brano tratto da Archaic Egypt del defunto professor W. B. Emery:

In un periodo che risale approssimativamente al 3400 avanti Cristo in Egitto si verificò un grande cambiamento e il paese passò rapidamente da uno stadio di avanzata cultura neolitica con un complesso carattere tribale a due monarchie ben organizzate, una che comprendeva la zona del delta del Nilo e l’altra la valle di questo fiume. Nello stesso tempo appare l’arte della scrittura, nasce l’architettura monumentale, arti e mestieri si sviluppano fino a un livello stupefacente e tutti i reperti fanno supporre l’esistenza di una civiltà ben organizzata e persino lussuosa. Tutto questo fu raggiunto in un periodo relativamente breve di tempo, infatti sembra esserci stata una base minima o addirittura nulla prima di questi sviluppi fondamentali nella scrittura e nell’architettura.

Ora, si supponga o meno ci sia stata un’invasione in Egitto di esseri civilizzati che portarono con sé la loro cultura, rimane tuttavia il fatto che, quando noi risaliamo a quel periodo storico, ci troviamo di fronte ad avvenimenti tanto imponderabili che non possiamo affermare più nulla con assoluta certezza. Ciò che sappiamo è che i popoli primitivi in quella regione si trovarono di colpo a vivere in civiltà rigogliose e opulente: e tutto accadde molto bruscamente. Alla luce dell’evidenza connessa con la questione di Sirio, oltre alle prove addotte da altri autori o che restano ancora da esaminare, bisogna prendere in seria considerazione l’ipotesi che la civiltà su questo pianeta dipenda in parte da una visita compiuta da avanzati esseri extraterrestri. Non è necessario ipotizzare oggetti volanti o divinità in tuta spaziale. Il mio parere è che questo argomento non sia stato ancora trattato in modo sufficientemente sofisticato. Ma piuttosto che abbandonarci a pure e semplici congetture sul come gli extraterrestri siano arrivati sulla Terra, e così via, partiamo dalla prova che ci dice se non altro che essi devono essere stati qui. Nella Parte Terza prenderemo in considerazione alcuni indizi secondo cui i visitatori extraterrestri provenienti da Sirio, quali io li ho ipotizzati, dovevano essere creature anfibie con la necessità di vivere in un ambiente ricco d’acqua. Ma questo ci porta in una zona di congetture che è un terreno pericoloso. La mia politica, come d’altronde la mia natura intima, è sempre stata quella di basarmi su fatti solidi. Vedremo nelle prossime pagine quanto solidi siano i fatti, anche se per il momento questo è un racconto ben strano. Come al solito, la verità si è rivelata più strana dell’invenzione. Si consiglia al lettore di leggere la Parte Terza di questo libro per qualche «pazzesca congettura».

Questo libro pone una domanda. Non fornisce una risposta, la suggerisce soltanto. Nella Parte Prima la domanda viene posta nella sua forma originale, nella Parte Seconda viene considerata sotto un’altra luce. Ma da nessuna parte si dà una risposta certa. Le domande migliori sono quelle che spesso restano senza risposta per molto tempo e ci guidano lungo nuove vie del pensiero e dell’esperienza. Chi sa dove ci condurrà alla fine il mistero di Sirio? Ma seguiamolo per un po’. In fondo ci aspetterà un’avventura…

 

Robert Temple


Note

[1]African Worlds («Mondi africani»), a cura di Daryll Forde, Oxford University Press, 1954, pp. 83-110.

[2]La traduzione risultò essere estremamente malfatta. L’articolo è stato interamente ritradotto da un traduttore professionista prima di essere incluso in questo libro. E’ stato anche rivisto dalla stessa Germaine Dieterlen, che ha gentilmente acconsentito alla pubblicazione dell’intero articolo redatto da lei e da Marcel Griaule, e che è riportato in questo libro alla fine del capitolo 1.

[3]Le fotografie di questi quattro sacerdoti tribali sono riprodotte nella tavola 2. Ritengo particolarmente importante che il lettore veda i loro volti. A parte il fatto che sono volti particolarmente interessanti, dobbiamo molto a queste quattro persone. Senza di loro il pubblico potrebbe ancora ignorare tutto del mistero di Sirio e l’intera tradizione potrebbe, dopo aver resistito un millennio sulla Terra, essere sparita senza lasciare traccia.

 

I 4 sacerdoti

tavola 2