di Mario Krejis

Presentazione di M.C. Mazzilli: Psicoterapeuta, Scrittrice, studiosa di Dottrine Tradizionali

  

Mario Krejis e la lingua ermetica del XXI secolo

Mario Krejis si colloca in una tradizione di scrittori rari, in cui filosofia, poesia e mistica si fondono. La sua prosa non appartiene a nessuna scuola, ma al laboratorio interiore di chi ha trasformato la parola in una strada di conoscenza.

I suoi testi, oscillanti tra il poema dialogico e il trattato iniziatico, si radicano nella più antica eredità ermetica, ma ne rinnovano il linguaggio con un tono appassionato, moderno e spesso ironico.

L’Ermetismo, in Krejis, non è una dottrina ma un cammino: un’educazione alla luce, un itinerario di amore e di conoscenza. Dietro l’apparente eccentricità del maestro Aurelio e le ingenuità del discepolo si cela la grande metafora dell’uomo alla ricerca di sé stesso.

In un’epoca che divora i propri linguaggi e trasforma il verbo in consumo, Mario Krejis appare dunque come un’anomalia luminosa: uno scrittore che non comunica, ma invoca. La sua prosa non intende spiegare, ma far vibrare nel lettore la corda dimenticata del Sacro.

Nelle sue opere più importanti: Thsecundia, Ibis, Ermetismo e Alchimia, Dialoghi e Verso il Cielo Stellato – il linguaggio è quasi un rito, un atto trasmutativo, una operatio magica espressa in forma letteraria.

Insomma scrivere, per Krejis, equivale a compiere l’Opera Alchemica. I suoi libri si costruiscono su un dispositivo semplice e antico: il dialogo iniziatico.

Da una parte Aurelio, Maestro solare, figura oracolare e ironica che incarna l’Uomo Realizzato; dall’altra il Discepolo, coscienza razionale, scettica, moderna.

In questo duetto, la filosofia incontra il teatro e la poesia si traveste da dottrina. Ogni capitolo è una liturgia drammatica in cui l’allievo rappresenta il lettore smarrito, mentre il Maestro, l’Io superiore, ne smonta le certezze per condurlo a una visione unitaria dell’essere.

Ma l’originalità di Krejis non sta tanto nei contenuti ermetici, condivisi con una lunga tradizione occidentale, da Giordano Bruno a Giuliano Kremmerz, quanto nel tono: egli restituisce al linguaggio iniziatico la sua carne. L’Ermetismo, in lui, non è teoria né mistica intellettuale: è Eros cosmico, fusione fra pensiero e corpo, tra idea e desiderio.

Il suo stile è inconfondibile: un impasto di ironia, solennità, umorismo e profezia. Aurelio non insegna, gioca; non predica, seduce; non illustra, scuote. L’Alchimia, da scienza occulta, diventa qui Arte della parola. Come il fuoco purifica i metalli, così la parola brucia le scorie dell’anima.

Le sue immagini sono volutamente paradossali o scandalose: non per gusto di provocazione, ma per spiazzamento rituale. L’osceno diventa un modo per dire il vero senza veli. Il suo linguaggio spesso barocco, straripante, non è difetto ma metodo: l’eccesso è la via per superare la linearità logica e far esplodere nel lettore la percezione del simbolo.

Tutta la filosofia di Krejis ruota intorno a un asse: l’unità dell’essere. L’uomo moderno è scisso: tra mente e anima, tra spirito e corpo, tra fede e scienza. Aurelio tenta di ricomporlo nella figura dell’Uomo Solare, sintesi alchemica di materia e spirito, creatura che conosce Dio perché è Dio in atto.

Qui l’Ermetismo non è religione, ma è coscienza della totalità.

Il discepolo, che rappresenta l’uomo contemporaneo, oppone la sua logica, la sua scienza, la sua razionalità: ma il Maestro lo disarma con la poesia e con l’amore. “Non c’è che il sogno a dipanare le matasse della vita”, dice Aurelio. Ed è forse questa la chiave di tutta l’opera: il sogno come realtà superiore, la fantasia come strumento gnostico.

Letterariamente, Mario Krejis appartiene alla linea dei mistici scrittori: da Jacob Böhme a Blake, da Bruno a Tommaso Campanella, da Evola al Kremmerz poeta. Ma il suo tono è inconfondibilmente moderno: usa l’ironia, la teatralità, la tensione erotica per tradurre l’invisibile nel linguaggio del nostro tempo.

La sua opera può apparire “folle” solo a chi cerca la misura logica; ma in realtà è follia sacra, una mistica della parola. E come tale, si colloca nel punto più alto dell’esperienza letteraria esoterica italiana contemporanea.

Non è divulgazione, né teologia, né filosofia: è metafisica incarnata, poesia che pensa e pensa poetando.

Nel mondo di Krejis non ci sono santi, ma operatori del sacro. Ogni uomo è chiamato a diventare il proprio alchimista, a risvegliare l’angelo dormiente nel suo corpo. E il verbo, la parola viva, è il crogiolo dove avviene la trasmutazione.

L’opera di Mario Krejis non si misura in termini di “verità” o “follia”, ma in potenza trasformativa. È una scrittura che accende, che contagia, che restituisce alla parola il suo potere di fuoco. Se la letteratura è ancora, oggi, un atto magico, Krejis è uno dei pochi che lo ricorda.

 

Le tre fasi dell’Opera e la trasmutazione dello stile nei “Dialoghi”.

 

  • Nigredo – Il Caos dell’Uomo Storico

La Nigredo, la prima opera alchemica, è il nero della decomposizione, il dissolvimento della forma: la morte del pensiero ordinario. Nei “Dialoghi” questa fase domina l’inizio di ogni incontro tra Aurelio e il suo Discepolo.

L’allievo, ancora figlio del razionalismo, parla un linguaggio di logica e scienza; il Maestro, al contrario, lo inonda di immagini, paradossi, ironie e lo conduce al disorientamento. È la prima iniziazione: l’umiliazione della mente.

Tu credi solo in ciò che vedi; io credo solo in ciò che sento.” In queste parole di Aurelio si compie la putrefactio della ragione. Il discepolo deve assistere alla dissoluzione delle sue certezze come si guarda marcire un corpo: solo così potrà nascere l’occhio interiore.

La lingua stessa, in questa fase, è oscura: ricca di contrasti, di toni grotteschi, di ironie “blasfeme”. Krejis usa il linguaggio come un acido corrosivo, scioglie le maschere della morale, attacca la religione, la scienza, l’ordine sociale, non per distruggerli, ma per bruciarli nel crogiolo del verbo. La sua ironia è “Fuoco filosofale travestito da sarcasmo”.

 

  • Albedo – Il Risveglio dell’Anima

Dopo il caos, il chiarore. L’Albedo è la fase del candore, della purificazione. È quando, attraverso il dolore della dissoluzione, affiora la visione dell’Unità.

Nei due Dialoghi L’Arte di Sognare e La Strada Alchemica, l’Opera entra nel bianco: la materia si purifica nel sogno, l’amore diventa forza cosmica, Maria – l’Anima del Mondo – appare come il principio femminile dell’Opera.

Sognare è il modo superiore della via iniziatica. Il sogno di un Maestro contiene qualsiasi creazione dell’Universo.

Qui il linguaggio di Krejis cambia tono: diventa lirico, persino dolce. Dopo la distruzione della mente, subentra la compassione del cuore. Il Maestro non sferza più, ma accoglie. Il sarcasmo lascia il posto all’invocazione, e l’oscenità simbolica si trasfigura in Eros sacro.

È la fase del bianco fuoco dell’Amore Solare, in cui l’uomo comincia a intuire la divinità della materia. Maria non è la Vergine della religione cattolica, ma la Materia vivente, la sostanza divina che si risveglia. Ogni parola diventa un atto di purificazione linguistica: così il linguaggio si fa canto, preghiera, vibrazione luminosa.

 

  • Rubedo – Le Nozze di Fuoco

L’ultima fase è la Rubedo, l’opera al rosso: la congiunzione, il matrimonio alchemico tra il Sole e la Luna, tra Aurelio e la sua Maria, tra il discepolo e il Maestro. È la fase dell’oro, della realizzazione, del fuoco che non distrugge ma crea.

Nel Dialogo L’Uomo Solare, questa fase trova la sua pienezza. L’anima è ormai divenuta corpo, e il corpo è spirito incarnato. Aurelio proclama: “Io l’ho trasmutata la mia anima, l’ho materializzata, l’ho fatta diventare come mi vedi! Come sono fuori, sono dentro.

È la formula ermetica della coniunctio oppositorum: l’unità degli opposti. L’oscuro diventa luce, l’angelo carne, l’uomo Dio.

La lingua, qui, esplode: è piena, densa, oracolare, eppure perfettamente controllata. Krejis ha raggiunto la sua Rubedo stilistica: la parola è ormai Oro alchemico, Verbo incarnato, canto e dottrina insieme.

In questa fase, l’opera non mira più a insegnare ma a trasformare il lettore stesso. L’esperienza della lettura diventa iniziazione. Il discepolo, il lettore, non riceve più istruzioni ma viene travolto nel processo: si trova dentro il forno alchemico del linguaggio.

La più grande intuizione di Mario Krejis è forse questa: la lingua stessa è il laboratorio alchemico.

Ogni parola è un elemento, ogni metafora una reazione, ogni paradosso un salto di stato. Nel suo stile convivono l’umiltà del mistico e l’arroganza del Dio, la risata e la preghiera, la bestemmia e l’inno. E tutto questo non per contraddizione, ma per armonia superiore.

Krejis non descrive l’Alchimia: la pratica sulla pagina. Quando Aurelio parla, il lettore non “capisce” ma subisce una trasformazione. Le frasi lo scompongono, lo irritano, lo avvolgono, lo accendono. Alla fine, se resiste, qualcosa in lui è stato bruciato e rinato.

Questo è l’effetto dell’Opera: non convincere, ma mutare. E in questo, Krejis è riuscito dove pochi altri hanno osato: fare della letteratura un atto magico.

In Mario Krejis la parola non è strumento, ma sostanza dell’iniziazione. Egli ha riconsegnato alla lingua italiana il respiro dell’Ermete, il suono della Fiamma. Ogni suo testo è un esperimento di trasmutazione interiore.

Non c’è nulla di “ridicolo” in ciò che scrive, ma molto di “terribile”: perché chi lo legge e lo capisce, non può restare com’era. Nel panorama letterario contemporaneo, Krejis è una

voce isolata e necessaria – come un alchimista sopravvissuto all’epoca del digitale, che continua a forgiare l’oro in una fornace di parole.

 

Aurelio e il Discepolo: il dialogo come rito di reintegrazione.

 

Nel teatro ermetico di Krejis, il Maestro non è mai solo un insegnante. È il riflesso visibile del Nume, l’aspetto divino dell’anima, la parte “solare” dell’uomo. Aurelio, con la sua ironia, la sua tenerezza e il suo sarcasmo, è una figura poliedrica: mescola il profeta e il buffone, l’angelo e il satiro, il teurgo e il commediante.

La sua missione non è trasmettere verità, ma destare la memoria. Egli parla per immagini, non per concetti. Le sue invettive, i suoi eccessi, persino le sue risate sono strumenti di rottura — come le folgori che colpiscono il discepolo per scardinare la corazza della sua mente.

Il Discepolo è l’altro volto della stessa fiamma. È l’uomo del secolo, figlio della scienza, della ragione, della fede perduta. A differenza di Aurelio, egli crede nella realtà oggettiva, nella logica, nella concretezza dell’esperienza. Eppure la sua voce non è opposizione sterile: è necessaria.

Senza il Discepolo, Aurelio parlerebbe al vuoto. Senza Aurelio, il Discepolo non avrebbe mai il coraggio di sognare. La tensione tra loro è il respiro stesso dell’Opera: l’eterna dialettica tra Spirito e Materia.

Il dialogo, in Krejis, non è una semplice forma letteraria: è un rito di reintegrazione. Ogni scambio fra Aurelio e il Discepolo è una fase dell’Opera interiore: il conflitto diventa fornace, la parola diventa materia prima.

Il lettore, assistendo, è come il terzo partecipante invisibile del rito: all’inizio osserva, poi si identifica col Discepolo, infine – se “capisce col cuore” – diviene Aurelio. È un cammino di interiorizzazione progressiva.

Sognare è il modo superiore della via iniziatica.” Il sogno è la lingua del dialogo stesso: ciò che accade tra il Maestro e l’allievo non è mai solo discorso, ma visione. La prosa si apre come un varco tra i mondi; le parole diventano ponti sonori fra materia e spirito.

Aurelio incarna l’Uomo Solare, il Sé realizzato. È colui che ha unito il pensiero alla carne, la ragione al sentimento, la luce all’ombra. Ma Krejis, con straordinaria umiltà, non ne fa un santo: ne fa un uomo ancora capace di ridere, di cadere, di bestemmiare e di amare.

La sua santità è umanissima: è un Osiride reincarnato che non si vergogna delle sue viscere. Nel suo linguaggio convivono il tono apocalittico e il linguaggio da osteria, perché il Maestro è simbolo della totalità integrata. È colui che sa che “il divino si rivela nel basso”, che il Sacro abita anche nella volgarità, e che il linguaggio stesso – pur contaminato – può diventare veicolo di luce.

Il motore segreto di tutto è l’Amore. Ma non l’amore sentimentale, ma l’Amore inteso come forza cosmica, come energia magnetica che unisce tutti i livelli dell’essere. Quando Aurelio parla di “Maria”, non si riferisce a un dogma, ma al principio materico dell’universo, la Materia luminosa che diventa cosciente di sé.

Sognare è amare, e amare è il sogno perfetto.” In questa formula, si racchiude la chiave del pensiero di Krejis: l’Alchimia è l’amore stesso che si pensa, che si contempla, che si divora e si risveglia come luce.

Alla fine, il Discepolo non è più un personaggio, ma uno stato dell’anima del lettore. E Aurelio, che sembrava il Maestro esterno, rivela di essere la voce interiore che chiama dal profondo. Il dialogo, allora, si dissolve: ciò che restava duale si ricompone nell’Uno. Questo è il vero fine dell’Ermetismo secondo Krejis: non adorare un Dio esterno, ma ricordarsi di essere Dio.

E se nella prosa di Krejis affiora spesso l’ironia, il delirio, la contraddizione, è perché l’Uno non può essere espresso da una sola voce. Ci vuole un coro di dissonanze, un’alchimia di parole per evocare il Verbo totale.

 

Conclusioni

In conclusione Mario Krejis ha tentato di compiere, attraverso la parola, ciò che gli antichi cercavano nella Pietra Filosofale: la trasmutazione dell’uomo in luce. Non con la formula, ma con la poesia. Non con la dottrina, ma con la voce.

Il suo Aurelio è un ponte: tra filosofia e mito, tra la scienza del cuore e la ragione perduta. Nei suoi dialoghi, l’Ermetismo torna a essere quello che fu: non un sistema di verità, ma un cammino d’amore, una scienza del risveglio.

Per questo, leggere Krejis non è come leggere un autore: è come incontrare un Maestro che ci riconduce — con una risata e una carezza — verso noi stessi.

Mi auguro così di aver fornito al lettore una valida chiave interpretativa, che gli consenta – se interessato – di entrare col piede giusto nel composito mondo dell’Ermetismo e dell’Alchimia Spirituale, attraverso le parole di un iniziato del nostro tempo.

 

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