In conclusione non so nulla – A.C.
In conclusione so che non so nulla…e quel poco che so…l’ho appena appreso.
di A.C.
Cara amica, rispondo volentieri alla tua lettera con sentimento aperto e sincero. Leggo con piacere che le tue domande anelano a risposte concrete e che provengono da un animo sincero, portandosi un desiderio profondo di chiarezza. Questa tua apertura, se così si vuol chiamare questo stato d’animo improvviso e nuovo, offre un’opportunità più a me che a te di specchiare i miei sentimenti su dei pensieri non solo riflessivi. Spesso, quando si parla a qualcuno, difficilmente si è ascoltati, poiché si tende più a trovare nelle parole degli altri ciò che si presume di sapere già o che i propri pensieri coincidano con quelli altrui perché esatti a priori. Un giochino della mente bugiarda, che come Narciso si specchia su se stessa e se ne compiace. Dunque, mi chiedi cos’è un maestro e poi aggiungi perché è necessario? Maestro è colui che sa. Questo sapere è figlio di un’anima antica, un’anima che ha trascorso tanto di quel tempo sulla terra forse da imparare da sé il senso della vita. Non mi è facile parlare di quanto asserito, poiché un maestro non ha bisogno di dare spiegazioni, perché: egli stesso è la spiegazione, la testimonianza del sapere. Sarei presuntuoso se parlassi come un maestro e sarei un bugiardo se facessi finta di non saperlo. Immagina se un uomo bussasse alla porta di casa tua dicendoti: eccomi qua, sono il tuo maestro. Già so qual è la tua risposta.
Un maestro non ha abiti particolari, non è di certo ciò che noi pensiamo possa essere. Egli è semplicemente tale. Il rapporto con lui è come quegli innamoramenti adolescenziali in cui soltanto chi ama sa di esserlo. Ognuno di noi ha un maestro che non sa di esserlo. Trovando il maestro troviamo il nostro e non ci sarà alcuna differenza.
La mia è un’esperienza limitata, essendo impegnato a dimenticare i fasti di un passato poco felice e a combattere ogni giorno il nemico che c’è in me. Ma io questo nemico non devo farlo diventare un amico, altrimenti alleandomi con lui farei il suo gioco e combattendolo sempre aspramente aumenterei il mio dissidio interiore, facendo di me un uomo pazzo. Pertanto, posso dirti che la prima cosa da fare è imparare a osservare. Acquisire quel distacco dai propri sensi volubili da permettere di vedere quei fenomeni endogeni che spesso sfuggono al controllo, essendo la mente umana portata a identificarsi con essi.
All’inizio, quando si ha la fortuna di conoscere un maestro Vero, i suoi sono dei consigli piuttosto che delle raccomandazioni o prediche e, a differenza di un amico che offre i suoi, egli compie una specie di semina interiore. Preciso che Egli lo fa senza sforzo alcuno e senza violenza alcuna, essendo naturalmente congeniali al discepolo. Tali sono prodromi, ossia dei principi antichi in cui l’uomo sensibile riconosce la sua esperienza passata e l’origine del suo cammino nella vita. So che potrà apparirti fantasiosa tale definizione o tutt’al più come vaneggiamento mistico.
E’ un problema congetturale se si vuol venirne a capo, poiché questa affermazione proviene da una mia ispirazione lirica, da quel sognare l’infinito pensandolo come finito, un tutt’uno, un uni-verso.
E’ un po’ come la coscienza comune all’uomo, basti ricordare il grillo parlante nella fiaba di Pinocchio. Quella vocina che ci sussurra delle cose spesso poco piacevoli quando commettiamo degli errori volontariamente.
Questa coscienza prende sovranità quando il senso critico aumenta nelle occasioni d’incertezza, seguendo una linea che non appare definita all’inizio del cammino Ermetico. Soltanto dopo un certo periodo di travaglio tale separazione appare sempre più netta, offrendoci una visione chiara del misterioso senso delle cose. Semplicemente perché la nostra visione delle cose è filtrata dai luoghi comuni con cui siamo abituati a vederle e dalla nostra confusione interiore. Il mondo appare diverso, ma non perché esso lo è, soltanto perché vediamo adesso le cose come sono e non come ci hanno insegnato a vederle. Cominciare ad aborrire ogni retorica di sé stessi, ogni riferimento al passato diventa un bagaglio di nozioni che non ci permette di volare. Riacquistare quel senso di libertà che senza ogni indugio è ovunque, soprattutto nella prigione del proprio Io.
Ma questo dono non può avvenire se il discepolo non sia disposto a lasciare che questi semi siano interrati. Soltanto un vero dolore interiore, quasi traumatico, pone le basi per la via dell’amore, quel dolore che lacera e che lascia un senso d’impotenza inarrestabile.
Il perché di tutto questo risiede nel semplice meccanismo della mente, la quale, per sua natura, non è disposta a cedere. Strutturalmente e biologicamente ella costituisce un essere vivente, come tale è vorace di conoscenza. Questa conoscenza metabolizza le informazioni, ma più informazioni vogliono dire più conoscenza? Conoscenza è coscienza?
Sic et non…
Perché un maestro? Un maestro è necessario per capire cos’è l’amore, essendo noi inconsapevoli di questo stato non riusciamo che a lambire le orbite che ruotano attorno al sole, pensando che esse stesse siano il centro. La terra interiore di ogni uomo varia da soggetto a soggetto, in alcuni è molliccia, fangosa, in altri è arida. In alcuni è più ricca di minerali e idonea alla semina ma essendo piena di pietre il lavoro dell’agricoltore sarà quello dello spietramento.
L’agricoltore sa lavorarla, deviando l’acqua della palude in quello fangoso, mentre in quello arido fa affluire l’acqua per disseccarla e così via. L’uomo che non sa lavorare la terra come potrà pretendere di ricevere dei frutti da essa? Così, giorno dopo giorno, l’apprendista osserva e impara dal bravo e anziano contadino i tempi delle stagioni per arare e poi seminare, attendendo con pazienza che la natura faccia il suo corso. Potranno capitare stagioni pessime, in cui il raccolto andrà a male per la troppa pioggia, oppure stagioni felici in cui il raccolto sarà abbondante, ma quello che il buon apprendista dovrà sapere è di aver pazienza e perseveranza, perché prima o poi il creatore sarà generoso con lui. Egli pregherà e ringrazierà Dio per i suoi doni, ma lo farà anche quando tutto sarà perduto, poiché anche da questo l’uomo imparerà il senso della sofferenza e dalla sofferenza l’amore.
Durante il corso del tempo s’impara ad imparare, come sapere di ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, essendo l’esperienza un dettaglio fondamentale. In ogni uomo esistono dei luoghi in cui è nascosta una frase, una nota, un colore, che illuminano il cielo della mente facendola sentire un bambino sperduto nell’infinito in cerca di un sé. Esistono dei pensieri profondi seminati in fondo al terriccio abbandonato di un cortile nello stabile del cuore che va abbeverato, il cuore pensa più dei pensieri stessi della propria mente.
S’impara a vibrare pensando al silenzio dell’Anima rinchiusa nel cassetto di un mobile ammuffito. S’impara ad emozionarsi quando si capisce la bellezza senza alcun riferimento. S’impara a dimenticare le offese subite per non lasciarsi dietro un bagaglio d’incertezze. S’impara ad ascoltare la bellezza delle note anche quando il frastuono fa capolino. S’impara ad amare anche quando la seduzione tenta di avvinghiarci con le sue prensili mani per farci vivere l’atto d’amore come le bestie. S’impara ad assaporare l’aria pulita di montagna anche quando si è vicini alla fogna con le sue esalazioni fetide.
Chi siamo dunque?
Noi siamo ciò che siamo, ossia, tutto ciò che la vita sociale ci ha ordinato di essere?
Sognare di esser liberi non conoscendo cosa sia la libertà?
La libertà non esiste, poiché non esiste alcuna prigione in questo mondo di illusioni.
A.C.
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