
“CIRCOLUS CORRUPTUS”
TRITTICO DELL’OPERA ERMETICA E DELLA CADUTA
INTRODUZIONE
Questo Trittico esplora l’intero arco dell’esperienza ermetica: l’inizio dell’Opera, la sua continuità e la sua possibile disgregazione.
Tre Quadri per tre stati dell’anima: il discepolo che comincia, quello che permane nella strada, quello che rinuncia e cade. Non sono giudizi, ma leggi interne del cammino iniziatico.
Chi legge riconoscerà in ciascun Pannello una parte di sé: nessuno è immune dalla prova: né dall’ascesa, né dall’ombra della regressione.
Non è scritto da nessuna parte che una persona, a un certo punto della vita, debba intraprendere un percorso di Spiritualità diverso da quello codificato dalle Religioni; né è garantito che l’Esoterismo sia la risposta automatica al suo malessere o alla sua cronica insoddisfazione.
Eppure vi sono uomini e donne che avvertono una sorta di richiamo: non sempre sanno definirlo, ma lo percepiscono come una nostalgia antica, una sete interiore che le realizzazioni comuni non riescono a placare.
Nei “Dialoghi sull’Alchimia” ho descritto con dovizia di particolari tale condizione: la delusione che segue anche gli eventi più lusinghieri, la tristezza e la sensazione che nulla basti per davvero.
Non è capriccio: è bisogno d’altro!
Talvolta uno spiraglio si apre leggendo un libro, incontrando un simbolo, ascoltando una testimonianza: e la luce della speranza illumina per qualche istante l’intuizione. Allora accade qualcosa d’inspiegabile: un’eco lontana vibra nell’anima, una felicità senza causa apparente, una chiamata che attrae come la calamita il ferro.
Nessun medico vi prescriverà l’Ermetismo come un farmaco miracoloso. È una possibilità remota, imprevedibile, che sembra legata al caso, ma che proviene da una parte profonda dell’essere: una regione inconscia che non si riesce a focalizzare, ma che affascina l’iniziato come il canto della Sirena i marinai di Ulisse.
Ho quindi voluto richiamare l’attenzione su un aspetto spesso tralasciato dagli Autori di Ermetismo: i possibili rischi di un cammino spirituale lungo e complesso.
Non è facile diventare un ermetista, non perché esistano delle “Forze esterne” che costringono il discepolo, arrestandone lo sviluppo; ma perché l’iniziazione mette in moto meccanismi interiori complessi e capaci di ribaltare ogni equilibrio precedente.
Se non si hanno radici forti nel realismo e, soprattutto, nella fede in Dio, si corre il rischio di perdersi nella confusione e restare come congelati, talvolta peggiorando ulteriormente la qualità della propria vita.
Il pericolo non proviene dall’esterno, ma dal nostro modo d’essere. È l’aprirci a nuove prospettive, che ci espone; è lo smantellare graduale delle barriere automatiche che, fino a qualche tempo prima, tenevano a bada i contenuti rimossi dell’inconscio.
Penetrare nel proprio Sacrario interiore significa incontrare il bello e il brutto, spesso più il brutto che il bello: e non sempre si è pronti a reggerne la visione.
Il mio scopo è introdurre l’ermetista in un’ottica di prudenza, di attenzione e di analisi di sé, perchè comprenda fino a che punto è disposto a lottare per un ideale che, di lontano, gli era parso semplice, luminoso e perfino facile.
Il Trittico esplora l’intero arco dell’esperienza ermetica: l’inizio dell’Opera, la sua continuità e la sua possibile disgregazione. Tre quadri per tre stati dell’anima: il discepolo che comincia, quello che resta nella strada, quello che cade.
Non si tratta di giudizi, ma di leggi interne del cammino. Chi legge potrà riconoscere in ciascun Pannello una parte di sé: nessuno è immune dalla prova: né dall’ascesa, né dall’ombra della regressione.
È per tale motivo che ho voluto richiamare l’attenzione dei lettori sui possibili rischi di un percorso, quello ermetico, promettente ma lungo e difficile.
Ecco la ragione di questi tre Quadri, che si propongono di introdurre l’ermetista in un’ottica più realistica di prudenza e di attenzione, perchè comprenda fino a che punto è disposto a lottare (e a rischiare) per un ideale che, leggendo e ascoltando le storie di altri, gli era sembrato giusto e adatto alla sua struttura interiore e al suo approccio alla vita.
§
QUADRO N. 1
IL DISCEPOLO INTEGRO CHE INIZIA L’OPERA
Quando un uomo oltrepassa la soglia che separa la vita comune dall’esperienza interiore, qualcosa in lui comincia a cambiare nel modo più semplice e radicale. Non sono ancora poteri, né intuizioni di Mondi superiori; è una variazione quasi impercettibile della postura mentale: uno sguardo che si alza, un gesto che si alleggerisce, una certa riluttanza verso la brusca materia del quotidiano.
L’anima, che sembrava dormire, riprende a respirare. Chi vive nella densità, non percepisce nulla di tutto ciò: avverte solo un cambiamento e lo considera a volte follia, posa o stranezza.
È la reazione automatica di chi teme ciò che non comprende.
Il bravo discepolo non cerca di convincere nessuno. Non entra in conflitto col mondo, non pretende di opporsi a esso, non si costruisce un personaggio spirituale.
Semplicemente va per la sua strada, e mentre cammina abbandona tutto ciò che lo appesantisce. Non per ascetismo teatrale, ma per purificarsi interiormente. Poco per volta il suo procedere nella vita diviene più essenziale, come chi ha compreso che il superfluo, in tutte le sue forme, è il primo ostacolo a una vera trasformazione.
Tuttavia nessuno giunge al risultato, senza traversare un periodo di tensione tra due diverse correnti: da un lato la forza del mondo che illude, attrae e reclama; dall’altro una voce sottile, quasi impercettibile, inalterabile, che chiama a un ordine più alto.
Tutti gli iniziati percepiscono entrambe le correnti. Nessuno è esente dal conflitto. È la volontà e la fede a fare la differenza. Ogni giorno un passo verso una direzione o un passo verso l’altra. Chi non conosce questa fatica, non ha mai mosso il primo passo.
Il bravo discepolo non è colui che non cade, ma chi riconosce la caduta mentre accade e non si lascia prendere dal sapore della resa. Non interpreta la Corrente bassa come destino, né la Corrente alta come privilegio.
Egli osserva, decide, si raddrizza. Non attribuisce all’esterno ciò che nasce dalla sua fragilità. Non cerca giustificazioni per restare immobile. Non pretende la Luce come ricompensa. Procede con una fedeltà silenziosa, sostenuta più dal Centro che dall’entusiasmo.
Finché rimane nell’orbita del Maestro, tutto sembra più semplice. La sua presenza purifica, protegge, asciuga le scorie emotive. Il discepolo si sente protetto, immerso in un’atmosfera che lo custodisce.
Ma questa non è ancora la prova: è solo la preparazione. Il Maestro, se è un vero Maestro, a un certo punto deve ritirarsi. Deve lasciare che il discepolo resti solo dinanzi a sé stesso: non per abbandonarlo, ma per rigenerarlo.
È in quel distacco che emergono forze profonde: le vecchie abitudini tornano a bussare, la Corrente del Mondo (Astrale) reclama l’antica supremazia, la mente riprende i suoi soliti meccanismi, il cuore le sue variabili oscillazioni. E ciò che sembrava superato, torna a vivere.
È qui che si vede la fibra dell’iniziato. È qui che si misura il suo coraggio, quello vero, che non fa rumore. Il bravo discepolo non collassa in queste reazioni. Non si lascia prendere dal dramma, né dall’auto-commiserazione. Non fugge nella corrente volgare, né si rifugia nella fantasia spirituale.
Egli mantiene la rotta, anche quando tutto vibra in direzione contraria. Mantiene acceso il Fuoco del suo entusiasmo e della sua fede, senza bisogno che qualcuno lo alimenti. Da ciò si vede la maturità dell’uomo: nella continuità del suo gesto, non nell’intensità del suo fervore.
Eppure non c’è nulla di eroico o di straordinario. La sua forza è sobria, senza teatralità. La sua obbedienza al Maestro non è servile, la sua indipendenza non è ribellione. Semplicemente egli ha compreso la funzione del Maestro: un ponte, non un padrone; un orientamento, non una sostituzione della volontà. Cammina con lui per diventare capace di camminare senza di lui.
Questa è la disciplina invisibile dell’iniziato.
La semplicità interiore è il segno finale. Non ingenuità, non remissività, ma quella purezza del gesto che nasce dall’aver tagliato ciò che era inutile. Il discepolo integro non si atteggia a uomo spirituale. Non ha bisogno di sembrare: gli basta essere.
Egli non amplifica i suoi progressi, non maschera le sue difficoltà, non ha timore della verità. È nudo davanti a sé stesso. E questa nudità, che per l’uomo comune è una minaccia, per lui è libertà.
Il discepolo integro non si considera piccolo né grande: si considera parte dell’Unità, un frammento che cerca di tornare alla sua origine. Egli mantiene la verticalità anche nei giorni più poveri, quando non sente nulla, quando il buio sembra avere la meglio, quando il cammino pare inutile. È lì, proprio lì che si misura la sua integrità. Non nello splendore delle sue altezze, ma nella fermezza della sua notte.
Il resto è continuità. Non tradire il proprio Centro. Non spezzare il filo della disciplina. Non farsi illudere dalla Corrente del Mondo, né stordire da quella dell’entusiasmo. Non attribuire all’Opera ciò che appartiene all’ego. Non cercare inutili scorciatoie. Non delegare la propria luce. Non perdere la postura quando nessuno guarda.
Così vive il discepolo integro: non perfetto, non invulnerabile, ma fedele alla Via. E questa fedeltà, silenziosa e tenace, è ciò che distingue chi si salva da chi si disperde.
Questo è l’inizio del cammino. Il resto – le cadute, le inversioni, le derive – spetta ai due articoli successivi.
§
QUADRO N.2
“CIRCULUS CORRUPTUS”
Il discepolo insicuro e claudicante
Il secondo Quadro è la prima ombra: la condizione del discepolo che devia o si lascia travolgere dalle Forze che non è riuscito a trasmutare.
Esiste nell’Ermetismo, come in ogni Strada Spirituale, una figura poco trattata, ma ricorrente: il discepolo che si spegne; che interrompe l’Opera, che devia dal proprio cammino e invece di dissolversi silenziosamente, nelle sue imperfezioni, rientra sulla scena in forma di Ombra.
Ho deciso di chiamare questa figura e il suo destino “Circulus Corruptus”: il Cerchio che non si chiude, l’Opera che non arriva alla conclusione, il movimento iniziatico che si trasforma in circo.
Spesso infatti il Sole della vita scioglie le ali di cera del timido esploratore dell’infinito Nulla, che casca col sedere per terra dopo le peripezie del Guerin Meschino, a leccarsi e ferite d’una strenua quanto inutile lotta.
Molti sono i chiamati, pochi gli eletti!
Si cerca, si tenta, si prova e talvolta uno spiraglio si apre.
L’Inferno è sempre pronto ad accogliere i migliori, per arrostire le loro anime terrestri sulla graticola della sofferenza e della vergogna, perchè dai carboni ardenti rinasca la mitica Fenice, pronta a spiccare il volo verso la sua nuova patria, il corpo rigenerato dell’iniziato: il Lucifero fatto di carne e ossa, l’Horus redivivo, l’Adamo Cabalistico che suona il tamtam di una novella razza di eroi, che abiteranno la Terra per i prossimi centomila anni.
Sognare e poi di nuovo sognare!…
Sogno e realtà sono illusioni. La mente non crea: offusca, distoglie, allontana dalla verità. S’incontrano lungo il cammino allucinazioni serpentine: i soliloqui del masturbatore, le follie dell’ipocrita, le suggestioni del Cuore immacolato di Maria, l’anima benedetta tramutata – in effige – nella più orribile macchietta mai esistita.
E così Maria si trasforma in Lilith, l’amore diviene follia, il sesso si fa ossessione, la calma proietta il suo tepore nelle viscere incatenate dell’Uomo Solare, intento a scaldarsi le reni col Fuoco Astrale in compagnia dei suoi antenati.
Chi riuscirà a trovare la strada? Molti tentano la sorte, ma non tutti ce la fanno: e quei pochi si ergono tra il tripudio di Santi, Dei e Spiriti dell’Inferno Principale, dove ciascuno s’accompagnerà alla sua affascinante Beatrice, in un amplesso perpetuo e senza sesso!…
Ma che fine farà chi non riesce?
Avrà almeno il merito di aver tentato!…
Ma quale merito? Quello del cretino integrale, dell’indegno o dello sfortunato cercatore dell’Oro alchemico, che torna a casa con le pive nel sacco e la delusione d’aver trovato solo qualche scheggia di vile metallo?
Chi sono i rinunciatari, i delusi che s’inventano storielle pur di non ammettere che il setaccio, con cui avevano scandagliato la sabbia della propria indifferenza, è pieno d’un pugno di illusioni appese al filo dell’orgoglio e della vanità?
Quindi il fallimento!… Il processo trasformativo, attivato con l’iniziazione, si arresta; le Forze si ritirano; il Serpente, che già pregustava il saporito boccone della sua stessa coda, si affloscia tra il mormorio deluso d’una platea di larve e di carogne astrali! E si resta lì, imbambolati: sepolcri imbiancati colmi d’ossa rotte e di cianfrusaglie senza valore!
L’anima si dilegua, privata dell’azione travolgente del fuoco dell’amore; l’Uomo Storico si addormenta un’ennesima volta. E si fa nuovamente avanti l’Ombra, l’istinto non ancora rettificato, rigenerato, la Bestia mai del tutto domata.
Così le tensioni interiori si acuiscono, il senso d’incertezza s’infiltra in ogni attesa d’ulteriore, in ogni speranza del futuro; e si resta soli nel proprio inferno personale, cercando di mettere le toppe all’equilibrio perduto con la stoffa consunta della violenza, dell’invidia e della cattiveria.
Si procede secondo le note stonate del proprio rumore interiore, che si coagula in appercezioni mentali che non risolvono nulla e provocano infelicità nella vita e scompenso del corpo e della mente.
Ma perché accade tutto ciò? Leggendo le mie parole, si potrebbe essere indotti a credere in una strada spirituale difficile e pericolosa, destinata quasi fatalmente a trascinare il neofito nel baratro del fallimento. Ma non è così!
L’Ermetismo è una scienza di verità e non bisogna temere di conoscere l’altra parte di sé stessi. Creare in sé l’uomo nuovo non è un diritto, ma una concessione che proviene dall’alto, a condizione di rendersi degni.
Si deve capire da soli (con l’aiuto delle pratiche e della fede) che migliorare spiritualmente è un processo naturale, ma lungo e complesso, che richiede l’abbattimento di tutte le barriere che ostacolano l’espressione cosciente dell’Uomo Storico e dell’anima, repressa dalle forme mentali.
Non si deve aver paura di cambiare!
Se si ha fede o meno, si vedrà alla prova dei fatti. Chi vacilla, cade: è la legge. E si finisce nuovamente preda del Serpente Astrale e dei pensieri volgari.
Così il sesso sfavilla nelle spire dell’emozione e nascono i Mostri della Luna Nera: creature inconsce che banchettano col poco che resta dell’antica propensione al bene.
Si diventa persone infelici, anime senza speranza che vagano sconfortate, nell’incertezza di sentirsi inadeguate o fallite.
Tuttavia a questo punto si può ancora reagire. Ma per farlo occorre possedere quel briciolo di Oro alchemico, che è il fermento di ogni progresso interiore.
Quel seme d’Oro si chiama amore, fede in Dio e desiderio di gettarsi nell’abisso per amor suo, fino a incontrare, superati i tanti personaggi delle vite passate, l’Antenato che per primo pronunciò le parole che possono salvare o dannare un’anima:
“Io sono il Dio di me stesso!”
Mi tornano in mente vecchi ricordi: le dolorose espressioni del mio inconscio, che spalancava le sue porte cogliendomi di sorpresa e addormentando i cani da guardia posti a difesa del mio ancora fragile equilibrio!
Sono momenti di panico, in cui l’iniziato si sente impazzire: l’ossessione si fa strada in lui poco per volta, mentre il suo cuore batte più forte e un terrore senza fine s’impossessa del suo corpo!
Da quella lotta si esce vincitori o vinti. E se si perde, il segno dello squilibrio rimarrà impresso nell’anima tutta la vita.
Tuttavia non in tutti gli iniziati il processo è così drammatico: dipende dall’antichità dell’anima e dalla violenza del Fuoco dell’entusiasmo e dell’amore.
Come ci si può salvare, quando ciò si verifica?
Ricordo le parole d’un vecchio amico ermetista. Una notte, in piena tempesta spirituale, sentendosi perso pregò tra le lacrime il suo Dio: “Vieni Signore! Prendimi, assorbimi nella tua magnificenza! Vivi Tu al posto mio, perchè Tu sei migliore di me!”
Allora percepì una sola parola, esplodergli nella mente con un senso ineffabile di gioia: “Bravo!”
E quasi per incanto l’incubo cessò. Finalmente aveva saltato il fosso, si era abbandonato a Dio. L’Abisso era ormai alle sue spalle. Aveva sconfitto il Dragone Astrale, il Guardiano della Soglia trasformato in Demone, l’anima divenuta malvagia per l’assurdo incantesimo della Materia.
Da quel momento fu un vero iniziato, degno figlio del suo Re: l’Angelo nella carne, pronto a difenderlo dalle ossessioni dell’Osiride Inferiore, il corpo di materia densa, destinato a struggersi nel sublime olocausto che fa germinare l’uomo nuovo.
Ho visto molti iniziati cadere, a volte dopo anni di lavoro su sé stessi. Il Kremmerz alludeva al fenomeno lanciando ai suoi lettori un appello in apparenza retorico: “Il giorno della prova è quando Maestro si separa dal discepolo: neonato volto a sfidare le maree dell’Invisibile”.
Si afferra l’iniziato e lo si getta nel mare del caos terrestre. Se si manterrà a galla, sopravvivrà; altrimenti andrà a fondo, con tutte le illusioni appese al suo cappello di paglia e oscuri pendenti. È la prova fatale, alla quale molti soccombono.
Spesso ho dovuto dolermi della triste fine di quanti non la superano, perdendosi nella vacuità di pensieri e di rancori senza senso. Da alcuni di loro sono stato attaccato e offeso, ma non me la sono mai presa, conoscendo la Legge.
Sed Lex, Dura Lex!
Oltre il Maestro visibile, che pensa e sente come un uomo, vi sono le Intelligenze della Tradizione: potenti, spietate e scevre da inutili sentimentalismi.
Sono loro che dovranno decidere se gettare all’infelice il salvagente che lo manterrà a galla, in attesa che giunga il solo aiuto possibile (se mai verrà!): l’amore, il senso di appartenenza, il desiderio di perdersi nel nulla, per ritrovarsi nell’Uno rinnovati e più forti di prima.
Non c’è verso di progredire, se non si rinuncia alla personalità, deprecando i moti ossessivi della propria mente.
Occorre abbandonarsi a Dio. Il Maestro può fare ben poco. In realtà non farebbe nulla neanche se potesse. La vittoria e la sconfitta appartengono solo all’uomo, l’unico responsabile del proprio destino. Ma le parole restano parole, finché non vengono incarnate con rigore.
Nel prossimo Quadro chiamerò in causa l’Alchimia e la Psicologia per mostrare, senza attenuanti, come si formano le derive, le illusioni e gli odi sottili che travolgono chi abbandona definitivamente l’Opera.
Solo riconoscendo tali perversi meccanismi, si può evitare di diventarne la vittima. E soprattutto: di diventarne lo schiavo.
§
QUADRO N. 3
“CIRCULUS CORRUPTUS”
Riflessioni sul discepolo che fallisce l’Opera
Questo terzo Quadro chiude il Trittico. Se il primo mostrava la fedeltà e il secondo gli ostacoli della strada, qui si osserva la corruzione: la deviazione definitiva, l’insinuazione velenosa, la trasformazione dell’Ombra in abito quotidiano. È il destino più triste, perché non nasce dall’errore, ma dalla resistenza ostinata a riconoscere quell’errore.
Scrivo non per giudicare, ma per indicare cosa accade quando l’Opera si arresta e l’Ego, non più rettificato, torna a reclamare il trono perduto.
Dedico pertanto queste pagine al discepolo che fallisce l’Opera, che si arresta nel suo percorso per averne frainteso la finalità e il messaggio universale, ma soprattutto per non aver avuto il coraggio di rinunciare all’orgoglio e alla personalità per amore del suo Dio e di un ideale di vita superiore.
Le mie parole vogliono essere un memento per quanti, a qualunque Tradizione appartengano, s’impegnano in un lungo e faticoso lavoro su sé stessi.
La Strada Ermetica non è tutta rose e fiori, l’ho ripetuto molte volte. Ciò vale ancor di più per l’Alchimia.
Non è un’affermazione retorica. Le spine della Rosa Ermetica sono velenose e solo se riconosciute possono essere evitate; o quando si posseggono i rimedi per neutralizzarne il veleno e guarire le ferite infette che esse provocano: l’amore, la fede e la volontà.
Nella mia lunga esperienza esoterica mi sono spesso imbattuto in iniziati che, nonostante le buone intenzioni, hanno visto svanire i loro sogni e volatilizzarsi, come fumo al vento, le loro più alte aspirazioni.
Si tratta di situazioni complicate, dove è difficile portare aiuto, specie quando non sussiste, dall’altra parte, un atteggiamento di apertura e di collaborazione nei confronti di chi quell’aiuto vorrebbe offrire. Costui dovrebbe essere il Maestro o un anziano del Gruppo al quale si appartiene. Ma di fatto ciò non accade quasi mai.
Esiste nell’Ermetismo, come in ogni Strada Spirituale, una figura poco trattata, ma abbastanza ricorrente: il discepolo che si spegne, che interrompe l’Opera, che devia dal proprio cammino e invece di dissolversi silenziosamente, nelle sue imperfezioni, rientra sulla scena in forma di ombra.
Ho deciso di chiamare questa figura e il suo destino “Circulus Corruptus”: il cerchio che non si chiude, l’Opera che non arriva alla conclusione, il movimento iniziatico che si trasforma in circo.
Dietro ogni vicenda personale c’è un meccanismo generale. In queste pagine non parlerò di persone, ma di processi. Chi vorrà, riconoscerà dei volti o sé stesso.
Non è un mio problema. L’essenziale è comprendere ciò che accade quando un discepolo rigetta la Via, mettendosi a combattere contro tutto ciò che fino a ieri aveva dichiarato di amare.
- Dal Circulus all’aborto dell’Opera
L’Opera Ermetica è un moto circolare: si nasce nella confusione della Nigredo, ci si purifica nell’Albedo, ci si sublima nella Rubedo. L’ho spiegato diffusamente nel mio ultimo libro “Dialoghi sull’Alchimia Spirituale”.
Il Cerchio si chiude solo quando ciò che era materia grezza diventa Fuoco consapevole. Ma, come ho detto, talvolta il Cerchio non si chiude. Allora il discepolo si ferma.
Non è più in grado di sopportare la pressione trasmutante.
La morte dell’Ego gli pare troppo costosa, radicale, definitiva. Proprio non cela fa. Allora si arresta, e tutto ciò che in lui era in trasformazione comincia a marcire.
È questo il momento fatale, in cui il Circulus diventa Corruptus: non è un semplice “non avanzare”, ma un ritorno all’indietro.
Così la Nigredo, invece di essere una preparazione alla rinascita spirituale, si trasforma in putrefazione psichica.
- Il discepolo che non sopporta la sua Ombra
Quando il discepolo si arresta e non completa l’Opera, si trova davanti a un dato insopportabile: non è diventato ciò che sperava. Tutto ciò che ha studiato, recitato, ripetuto, proclamato, non si è incarnato in lui. È rimasto solo teoria. A questo punto ha due strade:
- Riconoscere il proprio limite e tacere;
- Proiettare il proprio fallimento sulla Via, sul Maestro o sugli altri.
Il Circulus Corruptus sceglie quasi sempre la seconda. Non potendo accettare di aver fallito, deve trovare un colpevole esterno. E chi è meglio di colui che rappresentava la Meta, la guida, lo specchio più impietoso?
Così il Maestro, da figura a cui affidava la propria crescita, diventa il bersaglio ideale della sua frustrazione.
- Dall’ammirazione alla denigrazione
All’inizio il discepolo fallito si limita a osservare. Cova in sé stesso permalosità, risentimento, vecchie ferite, antichi conti non regolati. Poi, lentamente, comincia a riscrivere la sua storia:
- ciò che un tempo chiamava “insegnamento” diventa ora “manipolazione”;
- ciò che definiva “comunione” e “fratellanza” diventa “teatrino”;
- ciò che viveva come “guida” diventa “dominio”.
Il meccanismo è sempre lo stesso: ricalcare all’indietro la propria esperienza, trasformando il Maestro in un usurpatore, la Strada Spirituale in una trappola, il gruppo di iniziati in una setta di “illusi”.
Da questo ribaltamento nasce la fase polemica: articoli, post, allusioni, sarcasmi, “analisi” feroci sul Maestro e sugli antichi compagni, create da chi non ha mai seriamente analizzato sé stesso.
L’energia non va più verso l’alto, ma va contro.
E ciò che non sale, inevitabilmente cade.
Ecco perché parlo di Circus, oltre che di Circulus.
Quando la ricerca s’interrompe, il luogo dell’Opera si trasforma in palcoscenico. Il discepolo fallito ha bisogno di un pubblico:
- non contempla più, “spiega”;
- non si trasforma più, “denuncia”;
- non ascolta più, “commenta”.
Il discepolo che ha fallito l’Opera vive agganciato al Maestro più di prima, ma ora in forma ostile. È una dipendenza rovesciata: non può più seguirlo, ma non può nemmeno lasciarlo andare.
Il Maestro e i suoi antichi compagni diventano la prova vivente di ciò che lui non è diventato. Il Circolo, anziché chiudersi, si trasforma in un girotondo malato: il Circulus Corruptus.
- L’arma delle insinuazioni
Quando la critica non basta più, la mente inacidita ricorre a ciò che crede più efficace: l’insinuazione. È il passo successivo: l’Ombra cerca di sporcare l’immagine di ciò che non può più raggiungere.
Le forme sono sempre le stesse:
- “Io so, ma non posso dire”;
- “Se parlassi davvero, verrebbero fuori cose indicibili”;
- “Chi era vicino a lui, sa molte cose sulla sua vita privata”;
- “Un giorno racconterò tutta la verità”.
Non si dice nulla, ma si allude a tutto. Non si portano fatti, ma si suggeriscono “segreti”. Perché? Perché chi non ha autorità vera, deve ricorrere al sospetto come surrogato. È il livello più basso del Circus: la fossa dei leoni morali.
Ma proprio qui l’Opera offre la sua più grande lezione: chi ricorre a questo tipo di arma firma, da solo, la sentenza sul suo stesso cammino.
- Il principio dell’espulsione
Un organismo sano espelle ciò che non è compatibile con la sua natura. Un frammento di legno che penetra nella carne produce pus, febbre, rigetto. Non perché il corpo “odia” il legno, ma perché non può integrarlo.
Analogamente le Forze della Tradizione espellono il discepolo che non vibra più con l’Opera. Quando ciò si verifica, la persona espulsa vive la cosa come ingiustizia, tradimento, abbandono.
Non riesce a riconoscere che l’espulsione è la conseguenza naturale di una non-coerenza, non un complotto ai suoi danni. Il dolore di questa espulsione si manifesta in tre modi:
– aggressione (attacco diretto al Maestro, agli antichi fratelli o alla Tradizione cui aveva aderito);
– insinuazione (allusioni, sospetti, “so ma non dico”);
– vittimismo (presentarsi come “salvato” da una situazione tossica).
Ma in tutti e tre i casi l’unica cosa che si rivela è la stessa: la difficoltà del discepolo, che ha lasciato la strada, di assumersi la responsabilità del suo mancato compimento.
- Il fallimento come maestro involontario
Paradossalmente, il Circulus Corruptus diventa un maestro. Non per quello che afferma, ma per ciò che suo malgrado dimostra quando si usa il linguaggio sacro per coprire ferite profane, pretendendo da altri ciò che non si è disposti a chiedere a sé stessi.
Per il ricercatore sincero, la figura del discepolo fallito è un monito vivente. “Ecco cosa diventa la Via, quando non viene portata fino in fondo. Ecco in cosa si trasforma il Fuoco, quando non si lascia completare il suo lavoro.”
Non è necessario condannarlo o compatirlo. È sufficiente riconoscere in lui ciò che potrebbe accadere a chiunque di noi, se smettessimo di lavorare seriamente su noi stessi e perdessimo la nostra fede in Dio.
- Il Maestro e il silenzio
Infine, una parola sul Maestro. Il vero problema del discepolo che fallisce l’Opera, è che non può sopportare il silenzio del Maestro. Ha bisogno di una reazione, di una risposta, di uno scontro. Vuole che il Maestro scenda nel circo, perché solo lì si sente alla pari.
Quando il Maestro non risponde, non polemizza, non si difende, accade qualcosa di molto semplice: tutte le parole del discepolo fallito ricadono su di lui come un boomerang.
Il silenzio del Maestro non è disinteresse: è un atto iniziatico. È il gesto di chi sa che l’Opera non si difende con la polemica, ma con la continuità del proprio cammino.
- Uscire dal Circulus Corruptus
“Circulus Corruptus” non è solo il destino di qualcuno là fuori. È una possibilità che sfiora qualsiasi Ricercatore ogni volta che si sente stanco, deluso, non compreso, non realizzato.
Tutti, in qualche momento, abbiamo sfiorato la tentazione di gettare la colpa su qualcun altro. Il punto non è non cadere mai, ma sforzarsi di non trasformare la propria caduta in mestiere.
Il discepolo che fallisce e tace, può tuttavia ancora rinascere. Le Forze invisibili lo aiuteranno, se diviene consapevole del suo errore e chiede aiuto, a riprendere con pazienza e umiltà il suo cammino. Così quel periodo drammatico della sua vita si trasformerà (forse!) in un’esperienza preziosa per sé e per altri, che lo tutelerà da ulteriori errori e future cadute.
Ma il discepolo che costruisce la sua identità sull’attacco, sull’insinuazione e sulla vendetta, s’incatena da solo al proprio Circulus Corruptus. E resterà intrappolato tutta la vita nel labirinto dei suoi rancori e delle sue angosce.
È il caso di dire: Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso!
- L’insegnamento per tutti
Questa dinamica, che ho descritto in modo chiaro, vuol essere un insegnamento universale. La vera prova iniziatica, la reale scommessa che attende il discepolo dell’Ermetismo, non è iniziare l’Opera ma completarla.
Chi non completa l’Opera, prima o poi attaccherà ciò che l’Opera rappresenta. Per tale ragione ho voluto descrivere gli aspetti involutivi della strada spirituale (qualunque essa sia). Perché chi percorre realmente un cammino interiore possa riconoscere i segnali di regressione, i sintomi dell’Ombra non attraversata e il destino -sempre identico- del discepolo che si ferma a metà del ponte.
Il mio vuol essere un avvertimento, non un giudizio; un insegnamento, non una condanna. Chi comprende, crescerà. Chi invece non comprende, ripeterà gli stessi schemi. Così è sempre stato, così continuerà a essere.
A chi legge, lascio una sola domanda: “Vuoi essere parte dell’Opera, o parte del circo?”
La risposta non si dà a parole. La risposta è il tipo di vita – interiore e concreta – che ciascuno deciderà di portare avanti.
§
CONCLUSIONI
La Via iniziatica non è un cammino di terrore, ma un cammino di verità. E la verità, com’è naturale, illumina tanto le vette quanto le ombre.
Molti si avvicinano all’Esoterismo con fretta e superficialità, senza una sincera analisi di sé stessi. Dimenticano costoro che qualsiasi strada spirituale, che prometta una trasformazione in meglio dell’uomo comune, passa attraverso l’apertura forzata dell’inconscio e l’emergenza – talvolta improvvisa e violenta – di tutto ciò che quell’immenso calderone, pieno di emozioni e di forme rimosse, contiene.
Tutto il bene e il male di un uomo (o ciò che considera tale) è contenuto nell’inconscio. Nell’oscurità dell’abisso interiore riposa l’Uomo Storico, latore di forze e informazioni che appartengono ad altre vite.
L‘iniziazione è una scelta seria, da non prendere mai alla leggera, a volte non scevra da rischi. Ma la ricompensa è grande.
È questo il punto: mostrare i rischi della strada spirituale non significa condannare: significa preparare. Vuol dire ricordare che la vera trasformazione non è un gioco estetico o mentale, ma un’opera viva che attraversa l’uomo in ogni sua fibra.
Nessuno è chiamato a essere perfetto. Tutti, però, sono tenuti a essere sinceri. Si cade, si devia, si sbaglia, si tentenna. Ma proprio queste fragilità -accolte, comprese ed elaborate- diventano il materiale più prezioso dell’Alchimia interiore.
Non esiste un fallimento definitivo: esiste solo ciò che decidiamo di fare con ciò che ci accade.
Il Fuoco dell’Opera non punisce: purifica. Non pretende eroi invincibili ma uomini vivi, disposti a osservare sé stessi senza paura e a rialzarsi ogni volta che l’Ombra tenta di velare la loro strada. Ogni caduta può diventare un ponte; ogni deviazione un insegnamento; ogni ostacolo una soglia verso un grado più alto di libertà.
Chi si avvicina alla Via, non deve temere le difficoltà: sono il segno che la trasformazione è reale. Sono loro a rendere più forte il cuore, più vasta la coscienza, più limpido lo sguardo.
E la Tradizione, quando riconosce nell’uomo anche un solo seme di buona volontà, opera con una generosità che sorprende: sostiene, guida, riallinea, illumina. Non abbandona mai chi ricerca davvero con amore e onestà.
Così, tra prove e rivelazioni, tra cadute e rinascite, si compie il miracolo silenzioso dell’Ermetismo: la lenta nascita dell’Uomo nuovo, che non teme più l’Ombra perché ha imparato a trasformarla in Luce.
La vera domanda non è se cadremo, ma come ci rialzeremo. Non è se sbaglieremo, ma se avremo il coraggio di continuare. La Via non chiede risultati immediati: chiede sincerità, costanza e un cuore capace di amare ciò che ancora non conosce.
Che ciascuno, leggendo queste pagine, trovi dunque non timore, ma impulso; non scoraggiamento, ma direzione; non ansia, ma silenziosa e profonda fiducia nella propria possibilità di rinascere.
Perché ogni passo -anche il più incerto- è già Opera. E ogni anima che cerca, è già sulla soglia del suo destino.
PAX!