A… un amico mio – A.C.
di A.C.
Esiste una luce particolare nelle persone più sensibili, i loro occhi sembrano sfavillare e il loro sguardo trasmette qualcosa che si percepisce ma non si chiarisce. Il più delle volte questi non sanno niente di ciò che accade, non lo sanno. Sono trascinati da una misteriosa mano che li accompagna durante la vita, a volte sembra proprio che li protegga, li preservi da inconvenienti, poiché in loro v’è qualcosa di prezioso.
Certo, tutta la vita è una preziosa esperienza, ma questi individui sembrano avere un passo in più rispetto agli altri. Alcuni di essi col crescere diventano inspiegabilmente dei saggi, altri possiedono delle virtù straordinarie, che sovente occorrono durante i primi anni d’età. Alcuni invece scoprono all’improvviso, in età avanzata, di possedere qualità nascoste, come dei poteri, che con irruenza si manifestano in momenti della vita ordinaria, mettendo spesso a disagio il malcapitato. Essi spesso fanno ricorso ai medici per capire questo disagio, i quali, solitamente seguendo dei protocolli, addebitano tali fenomeni a patologie della mente.
Mi ricordo di un amico, che per comodità chiamerò Salvatore, affetto da incubi notturni, la cui famiglia preoccupatasi di tale disagio, si rivolse a uno specialista, il quale senza indugio alcuno, gli conferì dei farmaci a base di benzodiazepina, come lo Xanax. Col passare degli anni questo poveretto fu rinchiuso diverse volte in case di cura psichiatriche, col risultato di diventare un perfetto morto vivente.
Una volta andai a trovarlo, lo vidi da lontano seduto su un divano a fissare il vuoto. Il suo sguardo vivace e la sua spontaneità sembravano esser sparite, lasciandolo solo con un sé che non gli apparteneva, un automa la cui farsa fu scientificamente compiuta. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi, lo salutai da lontano e me ne andai rattristito. A un tratto mi sentii chiamare, signore, signore, mi voltai di scatto e vidi l’infermiera che faceva un cenno con la mano chiamandomi. Venga, venga, mi sussurrò, come per non svegliare il mio amico. Mi disse vicino all’orecchio: guardi il suo amico, sta piangendo, poverino. La sta salutando, ne sono certa.
Notai che dal volto del mio amico una lacrima gli attraversò le guance posandosi dolcemente sul pavimento. Feci un sorriso e lo salutai con la mano.
Da quel giorno non lo vidi più, dopo tanti anni seppi da un amico comune che era morto, ma non so di cosa né i genitori ebbero mai chiaro il decesso. Ricordo di lui quando scriveva dei romanzi futuristici, in cui i personaggi da lui creati sembravano veri, a volte pieni di saggezza e longanimità, altre crudeli, impietosi e cinici.
Uno di essi parlava come riuscissero a spiare gli umani attraverso delle microspie e per controllare la loro mente usavano degli apparecchi radio invisibili. Questi erano capaci di infondere malattie, avendo poteri sovrumani sulla mente umana comandandone ogni pensiero e ogni azione, compresi i sogni. Secondo questa narrazione per sfuggire a questi esseri bisognava confonderli, non facendo mai la stessa cosa più di due volte e non cadendo nelle trappole che essi artatamente preparavano per l’uomo.
Questi racconti di Salvatore, risalenti alla sua giovane età quando frequentava le scuole medie inferiori, furono oggetto di analisi da parte dei medici, i quali, leggendoli con sufficienza, emisero una diagnosi che suonò come una sentenza, dichiarandolo affetto da un tipo di nevrosi Borderline, ma nella versione più acuta.
Ricordo di un fatto accaduto alla sorella più piccola, malata con febbre alta e stati convulsivi il cui il medico di famiglia cercava la cura migliore e non avendo chiara la situazione si arrese chiedendo aiuto all’ospedale di zona. Ma dopo qualche ora la bambina, prima di essere ricoverata in ospedale, guarì improvvisamente. Il medico, che la stava assistendo, rimase sorpreso e confuso, rimuginando delle frasi fra sé e sé.
Salvatore mi confidò, tra un momento di assenza totale e un momento di delirio, che aveva fatto un sogno ad occhi aperti particolare. Raccontò di aver incontrato una donna anziana che chiedeva l’elemosina davanti ad un’antichissima chiesa abbandonata, ridotta ormai in rudere. Egli si avvicinò prendendole la mano dandole donandole un medaglione d’oro con una strana effige in esergo al disegno centrale raffigurante una spiga di grano.
Il giorno dopo la sorellina era guarita. Di queste esperienze non ve ne furono con più frequenza notai in lui dei momenti di silenzio in cui sembrava essere assorto nell’ascoltare qualcosa o qualcuno. Alcune volte si allontanava in disparte rimanendo in silenzio. I suoi genitori, ferventi cattolici, provarono a chiamare anche un prete esorcista, dopo essersi consultati con la curia locale. Erano convinti del fatto che suo figlio fosse preda di un demone.
Le molteplici difficoltà nella richiesta inusuale di un esorcista, essendo la stessa Chiesa Cattolica diffidente e prudente, non rappresentarono di certo un limite invalicabile per l’insistenza dei suoi genitori, i quali con assoluta convinzione riuscirono nell’impresa. Ma l’intervento del prete esorcista fallì, dopo un’attenta analisi, poiché egli stesso ammise di non essere certo della presenza di un demone, piuttosto di uno stato patologico della mente di Salvatore.
Una volta mi confidò che guardando dalla sua finestra nella stanza di casa sua riusciva a vedere come delle strane forme che si dipartivano dal sole attraversando l’aria e tutte le cose penetrandole. Verso i venticinque anni cominciarono a verificarsi in lui strani fenomeni, tra cui la veggenza.
Non potrò mai dimenticare quel particolare in cui un giorno di agosto sussurrò ad un orecchio di un uomo, che vendeva ortaggi sotto casa sua, che dopo qualche giorno sarebbe morto. Quel poveretto l’inseguì per tutta la strada cercando di menarlo.
Alcuni giorni dopo venne a trovarmi con un giornale in mano, un quotidiano locale, facendomi leggere una notizia che mi apparve, a dir poco sorprendente, cioè, che il pover’uomo era morto schiacciato dalla sua stessa moto ape, con cui vendeva degli ortaggi, dopo aver affrontato una curva malamente.
Ricordo anche che l’ultimo periodo in cui ci vedemmo, prima della sua scomparsa di scena, si sentiva perseguitato da microspie e osservato da gente strana che lo scrutava silenziosamente. La differenza tra la sua fantasia e la realtà non divenne distinta. I sogni stranissimi divennero frequenti, spesso si vedeva lottare contro alcuni esseri mostruosi intenti ad aggredire degli agnellini chiusi in un recinto di campagna. Si sentiva un eroe incompreso, una persona che faceva del bene alla gente perché spinto da un anelito innato verso il bene.
Da un po’ di tempo aveva abbandonato il suo lavoro di fotografo per dedicarsi a una vita sempre più appartata, isolato nella sua casa di montagna alle pendici dell’Etna. Sua madre telefonava spesso ad ognuno di noi, amici più vicini, in cerca di aiuto.
Alcune volte quando lo andavo a trovare in quella casa di montagna sembrava una stamberga, la cui sporcizia e fetore rendevano il suo accesso veramente difficile. Ed è per questo che fu ricoverato coattivamente in una clinica, nonostante la sua resistenza: venne adescato con un trucco, di cui ancora oggi provo disappunto.
Poi da quel momento non ebbi più notizie, fu isolato e vietate le visite agli estranei. Soltanto in una rarissima occasione gli feci visita, quella cui accennavo prima.
Qualche tempo fa un amico in comune mi fece leggere una lettera a lui spedita tanti anni prima in cui parlava di una sua scomparsa prematura. Diceva anche di non addolorarsi per questo evento, poiché egli sarebbe ritornato in un’altra vita sotto altre spoglie.
Alcuni anni addietro questo amico in comune mi disse che Salvatore era morto e che la sua morte fu addebitata ad un collasso per deperimento. Ma i genitori ancora oggi non si sono rassegnati, dando mandato ad un avvocato per cercare chiarezza.
Penso che a volte nelle stranezze di alcuni individui, nei loro sguardi stralunati, si celino degli angoli segreti in cui giacciono dei misteri insondabili.
Che i mezzi che l’uomo usa per penetrare in queste remote regioni dell’oblio siano insufficienti e che la moderna psicologia troppo frettolosamente giudica come fenomeni di asocialità. Ciò che l’inconscio freudiano, da lui esplorato nella terapia psicoanalitica, sia frettolosamente giudicato e schematizzato, ricondotto soprattutto a fenomeno biologico in cui delle esperienze antiche hanno geneticamente modificato il corso della vita umana e sociale, distorcendone il cammino.
Non si vuole gettare scredito allo scienziato, per quanto egli abbia nella terapeutica psicanalitica prodotto dei risultati acclarati di guarigione. Il pensiero si rivolge oltre, quell’oltre che molti scienziati della mente ancora oggi non riescono a chiarire. Poiché l’inconscio rappresenta un fondale imperscrutabile del mare neuronico della mente umana e la sua conoscenza non potrà mai giovarsi dei soli ragionamenti scientifici.
Esso è come lo “Scrigno di Pandora”, in cui giacciono i misteri dell’universo, vi possono essere dei mali inguaribili o dei beni fruttiferi, dipende dalla storia di ogni uomo. La strada maestra alla sua conoscenza potrà essere svelata forse soltanto dagli uomini più coraggiosi, come i cavalieri d’un tempo, eroi fedeli e amanti di quella purezza che soltanto la bellezza senza attributi ha.
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